Musica & Parole: Sice, le bambole non hanno diritti. Fernando Santini

giovedì 23 novembre 2017

Musica&Parole è una rubrica che già dal nome è tutto un programma. Collega ciò che c'è di più bello nel mondo: La lettura alla musica, dando spazio a estratti di libri nuovi a musiche che possono ricordarle. E' una rubrica che, salvo eccezioni, avrà spazio nel mondo di sopra il venerdì e vi permetterà di sognare e aprire la mente. 

Nota bene: Lasciati rapire dalla musica e dalle parole. Apri il video musicale e quando la musica comincia a partire, usala come sottofondo per leggere gli estratti e lasciati trasportare. 


Titolo: Sice, le bambole non hanno diritti
Autore: Fernando Santini
Editore: Dark Zone
Pagine:
Prezzo: 



Roberto Zanzi osserva con attenzione la disposizione delle palle sul tavolo da biliardo mentre, con il gessetto, accarezza la punta della stecca. «Devo dire che Gottardi si sta muovendo da vero campione», commenta Marco Roversi. «Che vi avevo detto? Quando abbiamo analizzato i possibili candidati al ruolo di responsabile del SICE, il suo curriculum mi ha subito colpito», dichiara Davide Gori. «In meno di una settimana ha fatto dei progressi notevoli. Ha trovato uno dei ragazzi che i miei uomini avevano dichiarato scomparso dal CIE di Lecce e ha associato a questo caso altri due ritrovamenti di resti di minori avvenuti in Toscana e Umbria», dice il Prefetto. «Già. Neanche noi avevamo collegato questi fatti», afferma il Procuratore. «Non possiamo pensare di essere onniscienti», commenta Roberto. «Hai ragione, però possiamo agire in quegli ambiti in cui Gottardi non potrà muoversi», afferma Marco. «Anche io, in qualità di Procuratore, non potrò autorizzare ogni azione che lui volesse compiere», completa Davide. «Roberto, capisco la tua prudenza e cautela, ma si tratta di bambini. Non possiamo tergiversare ancora», gli dice Marco con voce calma. «I nostri uomini vogliono poter scrivere la parola fine su fatti come questo», dice a sua volta Davide. L’imprenditore, come se non avesse sentito, si china sul tavolo da biliardo per osservare meglio la palla bianca. Alza la stecca e la depone sulle dita della mano sinistra, mentre con la destra inizia a calibrare il tiro. «Michele avrebbe compiuto oggi trent’anni se quei bastardi non avessero incrociato la sua strada. Invece mio figlio non è riuscito ad arrivare neanche a dieci. E la cosa che mi angoscia tutte le notti è il pensiero che si sia sentito abbandonato nelle mani dei suoi rapitori. Se solo avessi potuto avere allora la disponibilità che voi mi avete offerto qualche mese fa…» dice lasciando cadere la stecca sul tavolo. «Ho riflettuto a lungo. Ho pensato a lui e a tutte le vittime di violenze e omicidio che avrebbero potuto essere salvate. Ma anche che avrebbero voluto veder puniti i loro persecutori», continua a dire girando intorno al tavolo da bigliardo. «Vedere uomini come Marco Gottardi che offrono loro stessi per gli altri, per la giustizia, è confortante, ma avete ragione anche voi. Lui da solo non è sufficiente e potrebbe incontrare dei limiti alla sua azione. Noi potremmo aiutare gente come lui, noi potremmo estendere i limiti della giustizia.» Quindi, tornato di nuovo di fronte alla stecca si ferma in silenzio. La prende tra le mani, si piega e riprende la posizione per scoccare il tiro. «Ho deciso. È ora che L’Arco prenda vita e scocchi le sue frecce», dice facendo partire un colpo che fa entrare la biglia numero nove nella buca d’angolo. «Era ora», afferma Davide. «Finalmente. Hai fatto la scelta giusta amico mio», dice Marco che, avvicinatosi a Roberto, gli mette una mano sulla spalla. «Come ci muoviamo?» domanda il Procuratore. Roberto lascia il biliardo e si avvicina a una mensola della sua libreria. Apre uno sportello e ne trae tre telefoni cellulari. «Intanto prendiamo possesso del materiale fornitoci da Marco. Questi telefoni sono a prova d’intercettazione. Ci serviranno perché non sarà sempre possibile essere riuniti in questa sala schermata per prendere decisioni o condividere informazioni. Entro domani Marco fornirà di questi strumenti anche i nostri agenti operativi. Da questo momento, nelle nostre comunicazioni non useremo nomi o cognomi. Utilizzeremo solo i numeri progressivi da uno a venti. Nei telefoni sono già state impostate le rubriche associando a questi numeri i diversi contatti telefonici. Io sarò il numero uno, Marco, in qualità di responsabile operativo, il numero due. Tu, Davide, sarai il numero tre. Gli altri numeri verranno assegnati da Marco dal quattro al dieci. E saranno i nostri agenti operativi. Loro conosceranno solo il loro coordinatore e lui sarà il solo a conoscere Marco. Io assegnerò i numeri dall’undici al venti alle strutture di supporto logistico. Anche in questo caso le persone conosceranno solo il loro coordinatore e lui conoscerà solo me. Questa struttura consentirà, nel caso dovessero indagare su di noi, di recidere dei rami cercando di salvare la pianta», dice Roberto consegnando agli altri due uomini il rispettivo cellulare. 


«Ehi onorevole cosa te ne pare di queste bamboline?» dice il regista «Sono fantastiche. Quelle di ieri erano belle, ma queste sono molto meglio, perché sono molto servizievoli.» «Sai, ho detto agli amici russi che quelle di ieri avevano dei difetti e loro mi hanno accontentato.» «Un giorno di questi me li dovrai far incontrare.» «Onorevole, quando la famiglia sarà pronta per fare affari, vedrai che riuscirò a farti incontrare i miei amici.» «Ragazzi, basta parlare di affari, cerchiamo di divertirci», afferma Lettieri. «Francesco ha ragione.» «Hai preparato le fruste?» chiede l’onorevole. «Sì, sono nella sala insonorizzata. Non vedi l’ora di farle usare, vero?» «Non puoi capire quanto mi piaccia fare la parte dell’Imperatore romano che ordina che le schiave vengano frustate.» «Lo so Nicola, lo so bene. Ho anche preparato delle toghe per noi. Ho fatto predisporre dei pali con delle catene. Vedrai che ti divertirai», dice Lettieri. «Anche se mi mancano i set del nostro regista. Lì mi diverto di più. Lì ho davvero il potere di vita e di morte che avevano gli antichi Imperatori. È un potere che mi appaga, più di qualsiasi scopata. Cazzo quanto mi diverto in quei casi.» «Amico mio non puoi immaginare quanto manchi anche a me l’ambiente del cinema. Andrea quando pensi che potremo riprendere?» «Ragazzi dobbiamo aspettare ancora un poco. La Polizia sta indagando sul CIE di Lecce e sulla morte di Pieretti.» «Non mi nominare quello stronzo. Anche se, finalmente, ha finito di rompere i coglioni, non amo sentire il suo nome», dichiara acido l’onorevole Nissardi. «Nicola mi piaci così incazzato. Vuoi sfogarti? Scegli le tue attrici e andiamo di sotto. Divertiamoci», propone l’imprenditore della moda. «Io ho voglia di sangue e voi?» domanda il regista. «Anche noi», urlano in coro gli altri due. «Cosa cazzo stanno per fare? Io intervengo. Quelle povere ragazze…» dice Rita gettando in terra il microfono direzionale. «Ferma, ferma», le dice Guido che la abbraccia per bloccarla. «Lasciami stronzo! Lasciami!», gli urla lei cercando di divincolarsi. «Ora stai ferma», le dice lui abbrancandola con una mossa di judo e mettendola a terra. Con il suo corpo la avvinghia, mentre con la mano le tappa la bocca. «Rita, ascoltami bene. Non possiamo intervenire ora. Le ragazze verranno picchiate, ma non saranno in pericolo di vita. Noi dobbiamo sopportare questo strazio per poter avere maggiori informazioni su questi bastardi. Noi vogliamo distruggere tutta la banda, non solo questi tre coglioni.» «Ma che cazzo mi dici, che cazzo ne sai tu di violenza?!» «Amica mia ascoltami, io sono stato infiltrato per due anni in una famiglia mafiosa. Ho dovuto sopportare di vedere donne picchiate davanti ai miei occhi. Ho anche dovuto assistere a uno stupro. Io so cosa significa vedere la violenza, voler difendere le vittime e non poterlo fare perché quello che c’è in gioco è più importante. Io ho bestemmiato. Io ho pianto. Io ho picchiato i pugni contro il muro. Io ho insultato i miei superiori. Ma avevano ragione loro. Se fossi intervenuto, avremmo arrestato tre o quattro persone, ma la famiglia sarebbe sopravvissuta, producendo altro dolore. Invece, attendendo e sopportando, siamo riusciti a eliminarli.» «Tu cosa hai fatto? Sei stato un infiltrato?» gli domanda lei rilassando il corpo.


«Si sta per svegliare», dice un uomo uscito dal casolare. «Perfetto. Allora cominciamo», risponde l’altro spegnendo la sigaretta e riponendone il mozzicone in una tasca della tuta. «Buongiorno Gennaro», dice dopo essersi avvicinato al tavolo di legno su cui è steso, legato supino, il vigilante. «Cosa mi è successo?» «Sei stato prelevato perché noi siamo curiosi, molto curiosi, e vogliamo che tu risponda ad alcune domande.» «Chi siete?» «Noi siamo dei fantasmi, ma questo non deve interessarti. Tu rispondi alle nostre domande e vedrai che tutto finirà presto. Inizio con la prima domanda. Mi spieghi come funziona il traffico di bambini che rapite dal CIE?» «Di cosa vai parlando? Io non so nulla.» «Gennaro, cominciamo male. Non abbiamo tempo da perdere. Devi capire che ti abbiamo trovato e che sappiamo cosa hai fatto. Quello che vogliamo sapere è il come, il perché e chi altri è coinvolto. Informazioni semplici.» «Chi cazzo siete? Brutti pezzi di merda!» dice il vigilante cercando di muovere le mani. «È inutile che ci provi. Sei legato alle gambe di un tavolo cementato al pavimento. Non puoi liberarti.» «Cosa cazzo volete?» «L’ho già detto, risposte alle nostre domande. Quindi te lo ripeto per l’ultima volta: mi spieghi come funziona il traffico di bambini che rapite dal CIE?» «Vaffanculo, stronzo!» L’uomo non si scompone per l’insulto prende una cosa dal tavolo e si avvicina a Gennaro. «Visto che non vuoi parlare, tanto vale che io ti metta uno straccio in bocca, ma non preoccuparti, tra poco te lo toglierò e tu parlerai. Noi siamo il tuo peggior incubo. E sono sicuro che risponderai docilmente alle nostre domande quando avrai capito che facciamo sul serio», dice avvicinando il suo viso, coperto da un passamontagna, in modo che Gennaro lo possa vedere. Prende la mano destra del vigilante, ne stende le dita mentre il suo compagno mette un masso di cinque chili sul palmo per impedire la contrazione delle dita. Quindi, preso da sotto il tavolo un martello, colpisce l’indice del prigioniero con violenza. La guardia giurata si contorce per il dolore. L’uomo con il passamontagna non degna di uno sguardo il corpo che si sta muovendo tra gli spasmi. Stende di nuovo la mano e, alzato il martello, colpisce il dito mignolo. Il rumore delle ossa rotte rimbomba nel silenzio della stanza. La guardia giurata sviene per il dolore.


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