Chi è Jill Dawson: Intervista all'autrice di Un inutile delitto, Carbonio Editore

domenica 8 marzo 2020
Visto il decreto attuato, purtroppo Jill Dawson non presenterà il suo romanzo nella tappa dell'11 Marzo a Roma, alla libreria Tuba. Nonostante ciò, l'autrice ha deciso di regalare a noi lettori un omaggio per la festa della donna, ovvero una bellissima intervista video che parla del romanzo stesso e della forza che ogni donna possiede. 





Mrs. Dawson innanzitutto la ringrazio moltissimo per aver accettato di essere intervistata nel mio blog letterario, Il mondo di sopra. La mia prima domanda è questa: di solito gli autori di crime fiction traggono semplicemente ispirazione dai fatti di cronaca per costruire poi una storia a lieto fine punendo il cattivo della situazione. Come mai lei invece ha deciso di scrivere un romanzo basato su un fatto realmente accaduto incentrando il tutto sulla vittima e parlando poco dell’assassino? 

Sono consapevole che molta crime fiction sia semplicemente un riflesso del desiderio dell’autore di avere il dominio totale della storia. Questo significa punire il colpevole presentando il mondo come un luogo dove la giustizia trionfa, oppure suggerire che uomini e donne abbiano la stessa probabilità di commettere un omicidio, quando tutti sappiamo che sono specialmente gli uomini a macchiarsi di atti di violenza (nel Regno Unito due donne a settimana vengono uccise dai mariti, dai fidanzati o dagli ex). Mi è capitato diverse volte di parlare del ricorso a tecniche e strumenti narrativi per trattare di fatti realmente accaduti, utilizzandoli come fossero una sorta di “pozione magica” volta a smascherare qualcosa. Inoltre, mi piace misurarmi con storie che pensiamo già di conoscere per scoprire cosa vi è stato costruito sopra e come rimuovere tale sovrastruttura. In questo caso la vicenda era imperniata sulla figura carismatica e affascinante di Lord Lucan e sulla sua fuga dalla giustizia, mentre mancava totalmente la voce della vittima. 

Il titolo originale del romanzo, The Language of Birds (La lingua degli uccelli), evoca la centralità della voce degli uccelli nella narrazione. Da cosa deriva questa scelta? 

Quando le donne vengono uccise dai mariti o maltrattate, come è il caso di Lady Lucan (Morven nel romanzo), spesso le persone si chiedono: possibile che la vittima non si sia resa conto di quanto stava subendo? Oppure: perché è rimasta con lui se subiva continuamente violenza? Volevo sottolineare quanto a volte sia davvero arduo riconoscere che qualcuno ti sta facendo del male. Rosemary, che ha una storia di problemi di salute mentale, potrebbe essere classificata come un soggetto schizofrenico che crede nei segni e nei presagi di cui sono portatori gli uccelli considerandoli una sorta di sua personale guida nel rapportarsi con l’esterno, quindi anche con la situazione difficile che l’amica sta vivendo a casa dei conti di Morven. Da parte sua, invece, Mandy si affida al suo istintivo buon senso. Entrambe le ragazze, però (e così Lady Morven), finiscono per sbagliare, questo perché nessuna di loro può immaginare di cosa sarà capace una personalità instabile come quella del conte. La questione è: come possono delle ragazze essere responsabili del comportamento di uomini violenti? Per inciso: nell’Inghilterra degli anni Settanta la parola birds era un termine gergale che significava proprio “ragazze”, quindi si tratta di un libro che racconta la storia dal loro punto di vista e con il loro linguaggio. 

Come mai ha scelto di raccontare la storia di una donna, vittima di femminicidio con una sensibilità così sottile e profonda? Dal suo romanzo è come se emergesse quasi un senso di dovere nei confronti di Sandra Rivett. 

È vero ho avvertito come un senso di dovere verso la figura di Sandra Rivett/Mandy River e ho voluto raccontarne la storia con molta sensibilità e attraverso ricerche accurate. Sostengo un’associazione contro la violenza domestica e quindi credo fermamente che le storie delle donne che subiscono violenza vadano raccontate e che il nostro giudizio al riguardo vada rivisto alla radice. Spesso infatti si pensa che le donne abbiano provocato il marito, oppure abbiano meritato una certa sorte per aver tradito il compagno o per essere state esse stesse partner soffocanti. Ecco, credo sia questo genere di idee che deve essere messo in discussione e combattuto. 

Cosa ne pensa del femminicidio e di come viene trattato dai mass media? 

I media continuano a presentare il femminicidio nei termini che ho appena descritto, ossia identificando di frequente la sofferenza emotiva dell’uomo o la relazione extraconiugale della donna come i “motivi scatenanti” del reato. Tuttavia è raro che le donne che si trovano a patire le stesse cose uccidano i loro compagni. Occorre rivedere il concetto di mascolinità e il modo in cui viene costruito, così come occorre rivedere anche il concetto di patriarcato. 

Nella mia recensione di Un inutile delitto, sottolineo come il romanzo si apra strutturalmente come thriller per poi concludersi come racconto di denuncia con le donne principali protagoniste. Attraverso un romanzo che intende essere sia una denuncia verso gli uomini violenti sia un grido di vendetta delle donne, ha voluto rivolgersi esclusivamente a un pubblico di lettrici per sollecitare una loro riflessione in particolare? 

Ho cercato di osservare la nostra (di noi donne) attitudine nei confronti della violenza domestica e del femminicidio, spero però che anche gli uomini leggano il romanzo (così come è accaduto in Inghilterra). Sono madre di due figli, sono sposata, ho molti amici e colleghi maschi. Ovviamente non tutti gli uomini sono violenti, ma la violenza nella nostra cultura è largamente perpetrata da uomini, quindi sono loro ad avere la possibilità e la responsabilità maggiori per mutare la situazione. Personalmente non mi piace il cambiamento culturale che vedo in parecchi film e libri dove troviamo donne alla ricerca di una vendetta violenta. Non riflette la realtà perché è qualcosa che succede raramente e può dare alle ragazze lo stesso messaggio che i ragazzi hanno sempre ricevuto: ovvero che la violenza è assunta come parte di una condotta normale. Tra vent’anni potremmo pentirci di questo cambiamento. Anche le donne sono capaci di violenza, ma il fatto che siano statisticamente meno inclini a commettere omicidi o a fare del male a qualcuno dovrebbe essere motivo di festa e oggetto di maggiore attenzione. 

Da quanto si scopre dal suo romanzo, i mass media all’epoca della morte di Sandra Rivett (avvenuta nel novembre 1974, ndr) non enfatizzarono la dinamica del delitto in quanto commesso da un nobile. Nota ancora questa sorta di rispetto eccessivo nei confronti dell’aristocrazia? 

Sì, i media e il popolo britannico in generale così come amano i loro reali ancora si “tolgono il cappello” davanti ai nobili – del resto il nostro attuale Primo Ministro, il borghese Boris Johnson, veterano dell’Eton College, ha appena concesso lo status di nobiltà a Zac Goldsmith (figlio di James Godsmith, amico intimo di Lord Lucan). Possiamo senz’altro dire sia cambiato ben poco in tal senso. 

Come hanno reagito i lettori inglesi di fronte al suo romanzo e alla storia di Sandra Rivett, persa ormai nel dimenticatoio? 

Ho percepito un atteggiamento positivo nei confronti del romanzo. I lettori hanno ammesso di sapere ben poco della donna Sandra Rivett, per esempio ignoravano avesse avuto due figli dati poi in adozione. Hanno riconosciuto che la sua vicenda era stata dimenticata perché l’attenzione dei media si era concentrata sull’assassino e sulla sua fuga dalla giustizia. 

Che tipo di ricerca ha fatto per trovare informazioni sulla vittima e per ricostruire ambiente e contesto storico degli anni Settanta? 

Adoro la ricerca. Personalmente mi avvalgo di molti giornali e riviste del tempo e disponevo di un’ampia memorabilia degli anni Settanta che mi ha aiutato ad avere un’idea della moda, della musica, etc. di allora. Sono stati pubblicati molti libri sull’omicidio di Sandra Rivett ma, come ho già detto, si concentravano principalmente sulla storia del suo assassino, Lord Lucan, sulla possente coltre di protezione di classe di cui questi beneficiò e sulla sua fuga. C’erano invece pochissime informazioni sulla vittima, Sandra Rivett. Ho scoperto alcune cose sui suoi figli e sul suo breve periodo trascorso in un’unità psichiatrica dopo una cocente delusione d’amore ma, per non ferire la famiglia (le sorelle e appunto i suoi due figli che ora hanno all’incirca cinquant’anni), ho deciso che avrei rielaborato la sua storia e avrei spostato le sue origini nella paludosa contea del Cambridgeshire.  

Ritornando alle protagoniste di Un inutile delitto, sappiamo che ha voluto rendere omaggio a Sandra Rivett, ma cos’altro può trovare il lettore nelle figure di Mandy e Rosemary? 

Lo scopo principale era quello di rendere Mandy e Rosemary – la loro quotidianità di nanny indaffarate ma anche i loro incontri e le loro relazioni sociali – il cuore pulsante del romanzo spostando l’asse della vicenda su di loro e allontanandolo dal mondo blasonato dell’aristocrazia, fatto in definitiva di uomini arroganti e violenti. 

Scriverà mai una storia su una vicenda italiana? 

Penso che un autore debba conoscere bene la cultura, la società, i costumi che stanno attorno a un particolare caso per riuscire a costruire una fiction plausibile e approfondita. Credo dunque che uno scrittore italiano resti la scelta migliore per affrontare questo tipo di narrazione. 

Grazie mille per aver accettato l’intervista. 

Grazie a voi per avermi dato la possibilità di parlare di Un inutile delitto e di far conoscere il romanzo ai lettori del blog “Il mondo di sopra”. 

Nota Crediti: 
Domande: Emanuela, Il mondo di sopra 
Risposte Jill Dawson (Traduzione. Giulia P.)
Si ringrazia ancora l'autrice per aver accettato l'intervista, la casa editrice per avermi dato la possibilità di intervistare l'autrice e Giulia P. per aver realizzato la traduzione.
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